Autore: Guido di Piero, poi Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (notizie dal 1417-Roma 1455).
Titolo dell’opera: Annunciazione
Data di realizzazione: 1430-1440
Tecnica e misure: tavola; cm 95×158; predella; cm 16×30
Collocazione iniziale: Chiesa di San Giovanni Battista a Montecarlo, San Giovanni Valdarno
Collocazione attuale: Museo della Basilica di S. Maria delle Grazie
Descrizione Annunciazione del Beato Angelico
Capolavoro della collezione è l’Annunciazione di Guido di Piero, fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico, proveniente dal convento di Montecarlo, dove è attestata dal 1630, ma in origine destinata ad altra sede di incerta ubicazione. L’opera, concordemente attribuita all’Angelico per l’altissimo livello artistico che la pone nel pieno della fase giovanile (1432-35) è una delle tre Annunciazioni su tavola dipinte dal frate domenicano insieme a quella per S. Domenico di Fiesole, al Museo del Prado a Madrid e a quella per S. Domenico a Cortona, al Museo diocesano cittadino. Il motivo dell’Incarnazione, evento chiave e fondante di tutta la fede, fu particolarmente caro all’Angelico che lo rappresentò anche su affresco a S. Marco, fissandone quasi una forma, che legherà per sempre tale icona al suo nome. L’opera, nonostante gli elementi tardogotici, riflette le novità rinascimentali di Masaccio e Brunelleschi, come l’impianto prospettico perfettamente centrale con la bella loggia ad arcate a tutto sesto lateralmente aperta sul giardino dell’Eden e sullo sfondo l’austero cubicolo di Maria con la finestra ferrata che accentua il senso di profondità. Per primo l’Angelico inserisce l’annuncio a Maria nell’Historia salutis: la storia della salvezza infatti, iniziata dalla rottura dell’Alleanza tra l’uomo e Dio con la cacciata di Adamo ed Eva, raffigurati miniaturisticamente in alto a sinistra, prosegue con Isaia che preannuncia la nascita dell’Emmanuele, dipinto nel tondo, avvolto dal cartiglio con l’iscrizione profetica e si compie attraverso il sì di Maria che accetta di diventare Madre del Verbo Incarnato. La storia prosegue con il Giudizio finale e la proclamazione dell’eternità di Dio, cui alludono le iscrizioni sul bordo dorato del manto della Vergine, Donec veniat e Est. L’opera, vera omelia figurativa, è ricca di simboli cristologici e mariani: dalla colonna cristica al centro, simbolo dell’albero della croce e della vita, allo splendore dell’oro, emblema della luce divina alla palma, simbolo della vittoria sul peccato e sulla morte, ma anche allusione alla passione di Cristo e al martirio. Tipicamente mariani sono l’hortus conclusus delimitato dal recinto, che simboleggia la Verginità di Maria e la varietà di fiori tra cui, oltre al classico giglio, posto in secondo piano e non in mano all’angelo o al centro della composizione, le primule, che alludono alla nuova Primavera della vita (l’Annunciazione si compie il 25 Marzo, nove mesi prima del Natale), le stelle alpine, figura di Maria, stella mattutina, il garofano rosso, simbolo di fidanzamento e per questo della sponsalità di Maria, l’amata del Cantico dei Cantici e il melograno, allusione alla nuzialità feconda della Madre del Signore. Meno immediati, ma ugualmente allusivi i simboli mariani della Porta, della Finestra ferrata e della Cella; la prima si apre nella parete di fondo con una bella cornice in pietra dalla foggia rinascimentale ed è figura di Maria, Ianua coeli, porta attraverso la quale Dio incarnandosi è venuto nel mondo; la piccola finestra ferrata, che nell’oscurità della notte in cui si compie il mistero dell’incarnazione fa passare un raggio di luce, allude alla verginità di Maria attraverso cui penetra solo la luce divina; infine la cella con la semplice panca di legno, che ricorda nella sua essenzialità le celle del convento di Fiesole dove fra Giovanni ha vissuto, è simbolo dell’umiltà di Maria, scelta tra tutte le donne per diventare regina del cielo. Le recenti indagini riflettografiche hanno rivelato la grande padronanza e sicurezza del pittore nel disegno preparatorio, deciso e privo di ripensamenti. Tuttavia è probabile che ad una prima versione, più sobria e tradizionale con la loggia aperta tipica delle annunciazioni, abbia fatto seguito un adattamento ai nuovi gusti rinascimentali, con la decorazione delle pareti con sfumati effetti marmorei che, aldilà dello scopo ornamentale, hanno un profondo senso simbolico, allusivo alla mutevolezza e peccaminosità del mondo, cangiante e multiforme rispetto all’immobilità e simmetria del cielo stellato della volta, emblema della perfezione divina. Elemento scioccante e di incredibile modernità, il pavimento nuvoloso e indefinito come fosse acquerellato, che l’arcangelo Gabriele, messaggero di Dio, pare appena sfiorare, quasi a non voler contaminare la sua natura divina, è in realtà simbolo di dispersione e peccato, da cui l’uomo grazie all’incarnazione è stato liberato. Tutto concorre a sottolineare come l’evento dell’Annunciazione si compia tra tempo e Eternità, terra e cielo, finito e infinito. La predella, in passato riferita all’allievo Zanobi Strozzi, oggi invece sempre più concordemente ritenuta autografa, mostra le scene della vita di Maria dallo Sposalizio, alla Visitazione, all’Adorazione dei Magi, la Presentazione al tempio fino alla Dormitio Mariae, in cui la Vergine alla presenza degli apostoli, accorsi da ogni parte del mondo, si addormenta e la sua anima, sotto forma di fanciullo, viene presa in braccio da Cristo per essere portata in cielo.